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Terzo tempo

  • Immagine del redattore: Claudio
    Claudio
  • 14 feb 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Sette anni della mia vita non si possono racchiudere in poche righe. Non riuscirò a esprimere tutto ciò che si muove dentro di me. In maniera confusa come sono confuso io che sto chiudendo l’ennesimo capitolo del mio lavoro. Sto leggendo anche l’ultima pagina di questo periodo della mia vita. Perché è difficile non mischiare la sfera privata con quella lavorativa. È facile inserire una cassetta nel mangianastri e poi metterne un’altra senza che tra le due non ci sia un incontro. I nastri sono diversi, ma i meccanismi che li fanno girare e produrre musica sono gli stessi. E quando si inceppano per un nastro rischiano di incepparsi anche per l’altro perché probabilmente l’ingranaggio, la meccanica deve essere revisionata. Io sono stato il contenitore di questi sette anni.






Anche se vuoi importi il contrario. Anche quando cerchi di chiudere in due scatole diverse, separate e magari distanti due lati di te, quello lavorativo e quello personale. È impossibile separare l’uno dall’altro. E più cerchi di tenerli a distanza e più loro (il lavoro e la vita privata) tendono a incontrarsi. Tendono a sovrapporsi creando belle alchimie, ma anche terribili terremoti. Ricordi incancellabili, ma anche incubi terrificanti.







Sette anni di vita che mi hanno regalato esperienze. Esperienze uniche. Irripetibili. Straordinarie. Esperienze che mi hanno fatto capire ancora una volta quanto io sia fortunato. Perché anche nei momenti più bui (e purtroppo in questo periodo ce ne sono stati) c’è sempre stato qualcuno, tra quelli che ho incontrato sulla mia strada, che mi ha fatto sentire fortunato. Con una parola. Con un messaggio. Con un incoraggiamento. Con una semplice espressione di stupore nel comprendere che non me la stavo passando bene. Con un saluto consegnato a chi mi era più vicino nei momenti bui. Con una porta chiusa alle mie spalle per non far uscire l’invito a prendere possesso di quello che avevo messo da parte e non potevo lasciare in un angolo. Con l’accoglienza di chi mi era prima “competitor” e poi “socio”.



Sono le centinaia di persone che grazie a questi sette anni ho avuto modo di conoscere, apprezzare, amare e anche odiare. In divisa e non. Colleghi e professionisti dei vari settori con i quali mi sono relazionato. Sono i loro sorrisi che, con le facce stanche per intere giornate tra la gente, hanno regalato alle persone. La gioia di essere riusciti a dimostrare che “noi siamo bella gente”. Le serate trascorse nell’allegria nonostante la stanchezza. Le decine…che dico…centinaia…che dico ancora…migliaia di caffè bevuti con me nei bar di tutta la penisola. L’accoglienza ricevuta in città che non conoscevo e delle quali mi hanno fatto amare ogni angolo, vicolo, piazza, strada e marciapiede. Le soluzioni che hanno trovato per risolvere ogni minima difficoltà, quando io non ero in grado di andare avanti (e, onestamente, sono stati tanti questi momenti). La disponibilità nel fare molto di più di quello che gli era richiesto. I “grazie” che ho ricevuto, quando dovevo essere io a doverli ringraziare. Gli insegnamenti che ho ricevuto nelle stanze buie della mia conoscenza.






Sono loro che hanno reso belli questi sette anni che oggi si chiudono. Sette anni che sono stati caratterizzati da due tempi.


Il primo tempo. Entusiasmante, animato, confuso, caotico, vivo…tremendamente vivo e del quale mi ero drogato. Il tempo che mi ha permesso di conoscere, apprezzare e amare luoghi della mia Italia dove non ero mai stato prima.

L’intervallo. Buio, ansioso, nevrotico, sonnambulo, lontano e solitario…ma sempre con la loro presenza, reale o meno che fosse. Quella presenza che mi ha dato la forza di attendere il momento giusto ed essere pronto a scendere di nuovo in campo.

Il secondo tempo. Bello, stimolante, culturale, formativo, familiare, protettivo al punto che con molta difficoltò riesco a staccarmene. Il tempo della mia rinascita, nel quale ho imparato che cosa sia l’umiltà e come sia bello sentirsi “accolti”.


Domani incomincia il terzo tempo. Non perché cambio ufficio. Non perché avrò nuovi stimoli e nuove prospettive davanti a me.

Domani incomincia quel terzo tempo che, dopo le fatiche di un match combattuto con sportività, porta a energiche e tenere strette di mano e abbracci. Quel terzo tempo che fa squillare il suono inconfondibile di una birra, o forse due…magari tre…beh…lasciamo perdere perché il rischio di ubriacarsi non è poi così lontano. Ubriacarsi per la fine dell’incontro. Ubriacarsi per sfidarsi di nuovo. Ubriacarsi per sostenere le prossime partite che ognuno di noi dovrà affrontare anche singolarmente o in un altro team. Ubriacarsi per sancire la fine di un legame misto, bastardo come quello tra vita lavorativa e privata, e festeggiare invece la nascita di un legame che coinvolge solo i sentimenti e le emozioni del volersi bene.


Vi aspetto al pub…


Infine, GRAZIE per avermi accettato per quello che sono, senza pregiudizi e giudicandomi non un diverso, ma uno come voi con gusti diversi.






















 
 
 

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