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Il giorno del compleanno

  • Immagine del redattore: Claudio
    Claudio
  • 18 ago 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Non ricordo qual è stato il tuo regalo per il mio diciottesimo compleanno.

Era uno dei tanti periodi burrascosi tra di noi. Del resto, il mare che ci separava è sempre stato un po’ agitato e sono stati pochi i momenti di calma nei nostri rapporti, momenti che non sono sempre riuscito a cogliere e vivere come, invece, tu cercavi di fare con me.

Perché tra noi è prevalsa spesso la competizione. Quella sana ed onesta competizione che solo un padre ed un figlio possono esprimere, dovuta alle differenze di due generazioni che non permettevano di condividere lo stesso pensiero. Eppure, eravamo in una continua ricerca di dialogo, anche se non ce ne accorgevamo o non volevamo darlo a vedere.

Ricordo, però, che per i miei diciotto anni mi hai scritto una lettera, che ancora conservo nel primo cassetto del mio comodino.

Una lettera di sole sedici righe, nelle quali hai espresso tutto il tuo amore di padre. Il tuo amore per me.

Anche io scrivevo, avevo i miei diari, ma lo facevo solo per me. Volevo conoscermi, volevo sfogarmi e volevo poter dire quelle cose che avevo paura ad esternare ad alta voce. I miei diari erano sempre nascosti in luoghi che reputavo sicuri a possibili occhi indiscreti, tuoi e di mamma. Dovevano essere solo e soltanto miei e di nessun altro.

Tu, invece, scrivevi anche per gli altri e, in quell’occasione, hai scritto per me. Senza paura di mostrare i tuoi sentimenti, dandomi gli strumenti per poterti leggere e tendendomi una mano per creare un punto di incontro tra di noi.

Ma anche quella volta non riuscii a capire quale grande opportunità mi stavi regalando: non ho voluto capire che Uomo eri. Un uomo che si concedeva al dialogo, nonostante avessimo idee diverse, stili di vita non sempre concilianti tra loro e speranze non condivisibili reciprocamente.

Nei miei diciotto anni, alla fine della mia adolescenza, non contemplavo la possibilità che qualcuno la pensasse diversamente da me, soprattutto quando l’argomento era la mia vita. E poi ero tuo figlio e vedevo nei tuoi consigli solo ed esclusivamente la tua voglia di “imporre” le tue idee.

Tu avevi delle aspettative su di me, che non erano le stesse che io avevo su me stesso. Eppure, tu riuscivi a mettere da parte i tuoi “sogni” per lasciarmi libero di creare il mio futuro. Io non me ne accorgevo, perché dietro quel tuo dispensare consigli vedevo un padre “oppressivo” e non capivo che le tue parole erano uno sprone per affrontare la vita.

Quella lettera, però, mi ha permesso di capire, forse per la prima volta, che tu volevi darmi la carica ad andare avanti per la mia strada, nonostante il tuo disappunto, la tua contrarietà e le tue preoccupazioni per le scelte che stavo facendo. Per il futuro che mi stavo costruendo.

Perché un padre non riesce a nascondere le proprie paure per le delusioni che la vita potrebbe riservare al proprio figlio.

Ma non sempre sei riuscito a farti capire da me, o non sempre io sono stato in grado di leggere correttamente i tuoi consigli, le tue espressioni.

Tu eri diverso dai papà dei miei amici. Tu riuscivi ad esprimerti, anche in maniera “poetica”, senza paura di arrivare ad un confronto. Tu sapevi ricavare e dedicare il tempo ai tuoi figli, nonostante i mille impegni a cui il tuo lavoro ti costringeva.

Ogni momento della vita deve essere felicità, perché anche i momenti negativi ti offrono la felicità dell’esperienza. Ma la felicità non è egoista mentre lo è la tristezza” mi hai scritto in quella lettera.

Hai avuto il coraggio e la forza di mettere da parte il tuo orgoglio di padre e sei riuscito ad esprimere a tuo figlio, il tuo figlio primogenito, quello che pensavi, ponendoti non su quello che io vedevo come un pulpito, ma alla stessa mia altezza: da pari a pari, da uomo a uomo.

Ed io, incancrenito nella mia ostinatezza di adolescente che anelava alla sua libertà di diciottenne, non ho subito compreso il valore di quelle tue parole. Non ho capito che tu riuscivi ad “abbassarti” a me, a differenza mia che rimanevo arroccato nel castello delle mie convinzioni, delle mie certezze ed anche delle mie paure.

Non deve essere stato semplice il “mestiere” di padre con un figlio come me, che non è stato capace neanche di interpretare il “mestiere” del diciottenne. O forse l’ho fatto talmente bene che tu non te ne rendevi conto.

Io non potevo permettermi di rispondere male a tuo nonno, mio padre”, mi rinfacciavi spesso.

Hai mai pensato che quella mia ribellione fosse figlia di ciò che la tua generazione aveva permesso alla mia? Ti è mai venuto il dubbio che tuo figlio si è potuto permettere di lanciarti parole di fuoco perché tu, padre con una corazza da rigido, avevi invece un trasporto di comprensione nei miei confronti? Ti sei mai accorto che ho cercato di appoggiarmi a te, in più occasioni, di chiederti aiuto e consigli, cercando di non fartelo vedere perché non volevo dimostrare il mio sentimento nei tuoi confronti? Hai mai notato che quando avevo un “problema da maschio” non correvo da mamma, ma venivo a raccontarlo a te, perché eri l’unica figura maschile di cui mi fidavo?

Purtroppo, non posso sentire le risposte dalla tua voce, ma so che posso andare a ricercarle nella memoria del nostro rapporto.

E le risposte che mi do - che tu mi dai permettendomi, oggi, di guardare al nostro rapporto senza l’annebbiamento adolescenziale – sono colorate dalla tua comprensione, dal tuo aiuto diretto quando ti accorgevi che da solo non potevo andare avanti o rischiavo di imboccare strade realmente pericolose, e dalle tue ramanzine o imposizioni che servivano a sedimentare dentro di me quei valori positivi che dovrebbero regolare il mondo. E che ora permeano la maggior parte delle mie azioni.

Tu eri mio padre e, nonostante la mia continua testardaggine e il mio fanciullesco orgoglio, sei riuscito anche a spogliarti delle tue vesti, a volte scomode, e mi sei venuto in soccorso.

Con quella lettera mi hai parlato quasi come fossimo amici, anche se ufficialmente non lo siamo mai stati.

Perché un padre e un figlio non potranno mai essere amici. Ci sono i ruoli, sacrosanti, che non possono essere sconvolti. Ed anche quando un figlio diventa a sua volta padre non potrà mai avere un vero rapporto di amicizia con il proprio papà. Potrà solo prendere esempio dal bene che ha da lui ricevuto e potrà, ormai nello stesso ruolo, chiedergli consigli.

Ma io non sono neanche diventato padre.

Sono rimasto sempre e solo un figlio. Tuo figlio.



PS: oggi avresti compiuto 79 anni...oggi, con questa mia lettera, voglio festeggiare il tuo compleanno!

 
 
 

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