Cвобода
- Claudio
- 25 feb 2022
- Tempo di lettura: 2 min

Era il 1988.
Era il 12 ottobre del 1988.
La scoperta dell'America.
La scoperta, per me, di una nazione che si chiamava Ucraina.
Che ancora si chiama Ucraina.
Il 12 ottobre del 1988 ho conosciuto quattro ragazzi ucraini e con loro ho vissuto per sei mesi. Non ricordo più i nomi di tutti loro, ma ricordo le loro storie. Erano figli di esuli del socialismo reale sovietico, del comunismo che aveva costretto i loro genitori, i loro nonni e le loro famiglie a scappare dalle loro case, dalla terra che li aveva visti nascere, dalla loro patria.
Quei ragazzi, che nel 1988 avevano 19 anni, non erano nati e cresciuti in Ucraina. Erano nati in altre nazioni europee: Francia, Gran Bretagna e Slovenia. Quelle nazioni dove i loro genitori, i loro nonni e le loro famiglie si erano rifugiati.
Ma quei ragazzi erano ucraini...sono ucraini.
Io non conoscevo una nazione che si chiamava Ucraina (e si chiama ancora Ucraina). Grazie a loro ho imparato anche ad amarla.
Quei ragazzi ucraini erano venuti a vivere in Italia. Li avevano mandati a studiare in un collegio a Roma, un collegio ucraino che permetteva ai figli dei profughi di poter studiare e sperare in un futuro migliore. Quel futuro che non era stato permesso ai loro genitori, scappati dalla loro terra perché un piede invasore la stava calpestando. Stava calpestando la loro dignità.
Ma quei ragazzi ucraini avevano una dignità. Eccome se ce l'avevano. Ed erano fieri della loro dignità di ucraini, con la loro cultura che era stata sommersa da troppi anni, da troppi secoli per mano di un invasore che imponeva un mondo che non gli apparteneva. Una imposizione che non era riuscita a sotterrare la loro dignità e, soprattutto, la loro forze di voler tenere sempre viva la loro dignità.
Era il 1988 e sono passati quasi trentacinque anni.
Ho pensato spesso a loro in questi decenni. Ho cercato di immaginare che vita si erano costruiti perché ho sempre ricordato i loro sogni. I loro nomi no, non me li ricordo, ma i loro sogni sì, eccome se me li ricordo. Perché i sogni sono sempre belli e i loro erano fantastici. Erano i sogni di giovani uomini che guardavano alla vita come un enorme campo da esplorare zolla per zolla, piantando i semi di ciò che li avrebbe resi felici e realizzati. Del resto erano sogni simili ai miei, anch'io avevo diciannove anni come loro. Ma i loro erano sogni carichi di speranza, molto più dei miei, perché parlavano della loro terra, con gli occhi lucidi, anche se non l'avevano mai conosciuta.
Stasera ho visto un collegamento dal Colosseo, dove si stava svolgendo un corteo perché la PACE torni in quella nazione che si chiama Ucraina. In questi giorni non riesco a staccarmi dalle innumerevoli trasmissioni che approfondiscono il terribile gesto di un invasore. Sempre lo stesso, anche se ha cambiato la maschera che nasconde il volto di un regime. Nell'Ottocento dello zarismo, nel Novecento del socialismo reale e, oggi, non saprei definire di cosa. Il collegamento televisivo si è concluso con il desiderio di altri giovani ucraini che hanno pregato cantando il Padre Nostro nella loro lingua.
Ho pianto perché, dopo trentacinque anni, ho sentito le voci dei miei amici ucraini che nel 1988, della loro dignità e dei loro sogni.
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